Intervista a Marco Bellocchio – 1

Intervista effettuata da Giovanni Scolari e Massimo Morelli il 4.12.2012 a Travagliato (BS) durante la consegna del premio TESTIMONI DELLA STORIA

Tutto ha inizio nel 1965, con I pugni in tasca, un film di cui si è parlato moltissimo. Cosa resta dopo tanti anni di quell’esperienza?

È chiaro che uno comincia cercando di rappresentare le cose che sente. Chiaramente quel tipo di disperazione fredda di una formazione (quella della formazione cattolica, la dimensione dell’ipocrisia, dell’assistenza, della non trasformazione) che io in qualche modo avevo respinto, entra nel film ed è qualcosa che io sentivo profondamente. Poi, quando il film è uscito, sono le risposte degli spettatori che ti fanno capire e scoprire una serie di cose. Io non sono per l’eternità di un’opera d’arte, sia chiaro. Recentemente, però, sono stato ad una proiezione dove c’erano delle studentesse di 18/20 anni. Alcune tra di loro erano americane e sono rimaste colpite dal film. In quel film evidentemente c’è qualche cosa che va oltre ciò che viene ambientato a Bobbio, in un paese dell’Appennino dove tutto è inverosimile. Sociologicamente il film è del tutto inverosimile, però c’è qualche cosa che colpisce ancora.

Passiamo al film successivo La cina è vicina. Si può dire che il suo sguardo sulla politica italiana è rimasto immutato, coerente nel corso di tutta la carriera fino a Bella addormentata? La politica viene mostrata come grottesca, caricaturale ma dal 1967 ad oggi è rimasta davvero così invariata, dal suo punto di vista, considerando, come esemplari i personaggi di Glauco Mauri in La cina è vicina e quello di Herlitzka in Bella Addormentata?

No, l’Italia era molto diversa e verso i partiti non c’era una messa in discussione come avviene della politica in generale. L’uomo della strada, mi ci metto anch’io, oggi dice “No, i politici devono sparire, sono tutti ladri, tutti, tutti!” Allora c’erano dei distinguo. C’era la disillusione del partito socialista che si era sostanzialmente alleato con la DC, quindi in qualche modo aveva perso la sua fisionomia di sinistra. La critica in chiave farsesca era verso il partito Comunista e denunciava un revisionismo “cieco” ad un certo tipo di radicalismo Maoista e successivamente ad una gioventù che voleva invece una rivoluzione sia pure non cruenta. Quando ne La Cina è vicina il personaggio mette la bomba, in chiave molto grottesca, farsesca, nella sede del partito socialista, il fratello maggiore rimasto imprigionato gli dice “Guarda che tu dovresti prendertela con i comunisti, non con noi. Noi ormai siamo dentro il potere, siamo fuori gioco. Perché te la prendi con noi? Prenditela con i comunisti” Perché la grande delusione erano i comunisti per i giovani di allora. Poi lo stile è cambiato, però allora c’era la disillusione da parte di un giovane nei confronti di una politica tradizionale che andava derisa. È curioso che il film poi esce alla fine del 67. Tutto cambia nel senso che il 68 fa più riferimento a I pugni in tasca di tre anni prima. La Cina è vicina è visto come un film popolare. Infatti ebbe un grande successo perché allora il discorso dello scandalo aveva ancora importanza. Però da chi aveva amato I pugni in tasca fu abbastanza criticato.

In Bella addormentata ritorna questo sguardo grottesco. I politici che vanno dallo psichiatra a chiedere medicinali per poter sopportare quanto stanno facendo dimostrano molti punti in comune con la mancanza di ideali che ispira il personaggio di Mauri in La cina è vicina.

Ma allora non ci pensavano ancora di andare da uno psichiatra. Adesso è più diffusa la psicoanalisi, la psichiatria è quasi al livello di massa. Ci sono delle analogie evidenti. Non dimentichiamo che lì è una politica di paese, di piccola città, Imola. In Bella Addormentata è la politica nazionale, tutto avviene nel Senato, nel centro della politica.

Le differenze stanno nei temi etici trattati nell’ultima pellicola.

Sì, esatto. Un critico definì La cina è vicina una pochade di sinistra perché aveva una sua compattezza stilistica in un registro farsesco. Tutto il film è una farsa. Al contrario Bella addormentata ha aperture ad un grottesco discreto però poi ha delle pagine tragiche. In questo senso c’è un andamento a corrente alternata. Anche nei momenti più drammatici, ci sono, o vorrebbero esserci, delle venature sottilmente ironiche. Mi viene in mente quando la madre chiede che tutti gli specchi vengano tolti tranne quelli del bagno. Fa parte del mio modo di vedere e di sentire. La dimensione tragico grottesca è qualcosa che mi appartiene. Quindi ci sono, anche in film molto drammatici come Buongiorno notte, dei registri leggermente o surreali. Persino in I pugni in tasca c’è una battuta relativa ad una scena. Quando rientrano dal cimitero e il fratello maggiore prende per il collo il protagonista perché aveva lasciato un biglietto in cui prometteva che avrebbe sterminato la famiglia portandola con l’automobile nel burrone, il fratello disabile, rimasto in macchina, mentre questi litigano dice “Che croce vivere in questa casa!” Questa battuta suscita risa, è curioso, nel 65 come oggi. Evidentemente c’è una connessione che produce nello spettatore non dico risate, però un sorriso.

La fine degli anni ottanta coincide con Il sogno della farfalla e La condanna. La critica non è molto tenera nei suoi confronti. Parlano di un’involuzione, di un periodo di crisi. Rivedendoli oggi, tuttavia, dentro i suoi film si trova un percorso di ricerca cinematografica visiva notevole che non si è mai arrestato. Stupisce rileggere, con il senno di poi, i giudizi molto pesanti usciti in quegli anni. Come viveva questo momento in cui la critica sembrava essere molto negativa?

Il discorso è piuttosto complesso perché i piani sono diversi. La stroncatura, si può anche dire, dispiace. Bisogna essere in grado di sostenerla perché se a causa di certe stroncature tu segui ciò che i critici ti suggeriscono, è finita. Tu hai una tua idea e poiché ci sono degli esempi validi di quello che hai fatto, in qualche modo la devi difendere. In quegli anni era come se sentissi una crisi evidente. Avevo un’aspirazione a cambiare, non astratta, non celebrata. Perché è in noi persone di non stare ferme, di non avere una dimensione passiva, di subire, ma di trovare dei movimenti e dei cambi. È chiaro che si è innestata in quegli anni in una mia esperienza importante, di partecipazione all’analisi collettiva alla psicoterapia di Massimo Fagioli. Questa è divenuta una collaborazione stretta con Il diavolo in corpo, e poi in Il sogno della farfalla e in La condanna in un modo diverso. Io credo che un certo tipo di cultura dominante, – che era ed è essenzialmente freudiana- dal momento che la teorizzazione fagioliana si contrappone radicalmente al pensiero freudiano, ha voluto stroncare le mie opere. Diavolo in corpo è un film che io difendo e che trovo molto originale confermato da un esito mondiale. In Italia c’è stato un attacco frontale per il modo in cui è stato fatto che è questo tipo di strana complicità e collaborazione tra psichiatra e un paziente, rompendo una serie di regole canoniche rispetto allo psichiatra che ti sta alle spalle. Ha provocato una critica che si è accentuata nella Condanna e Sogno della farfalla. Due film, secondo me, meno riusciti del primo, ma certamente che portavano ancora più avanti un discorso di stile e linguaggio non realista. A me, poi, una volta che ho continuato per una strada, molto più mia, personale, quelle esperienze mi sono state di grandissimo aiuto.

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