Il clan. Pater familias

Il nostro parere

Il clan (2015) ARG di Pablo Trapero

In Argentina, negli anni 80, una famiglia si guadagna da vivere grazie ai sequestri di persona, protetta dal regime militare e dal silenzio della popolazione locale.

Film duro e aspro, quasi asfittico a dispetto degli spazi mostrati. Visto con gli occhi del figlio, Alejandro, costretto a vivere la follia omicida del padre, del tutto disinteressato alla sorte dei suoi ostaggi, indifferente alle sofferenze e al male compiuto. Il ritratto micidiale di quest’uomo, apparentemente normale nel contatto quotidiano, ma posseduto da un’anima malvagia, è la metafora dell’Argentina e di ciò che è stata la dittatura degli anni 70.

Quanto è accaduto, ci racconta Trapero, non è stato solo un colpo di stato ma l’emergere di una cultura assassina, incapace di comprendere il male, anzi convinta di poter uccidere, cancellare, annullare gli altri esseri umani. Non a caso tutti questi personaggi sono appartenenenti alla polizia segreta, alle squadre della morte che agivano sui desaparecidos. Quello che hanno compiuto è stato un vero e proprio genocidio. I racconti dei sopravvissuti, le torture cui sono stati sottoposti, descrivono meglio di ogni altra cosa l’annullamento delle coscienze di questi animali che hanno seviziato e infierito sulle persone senza pietà e senza rimorsi.

La parte più interessante dello sviluppo di quest’opera sta in due fattori che smascherano esplicitamente il senso della dittatura. Anche in Italia, da tempo, qualcuno invoca meno diritti civili in cambio del pugno duro per la sicurezza. L’illusione di costoro è che i colpiti saranno gli “altri”: stranieri, emarginati, omosessuali, prostitute e, soprattutto, quelli che non la pensano come me. Tutte bugie. Simbolicamente, la violenza di Arquimedes colpisce prima i suoi cari, costretti ad accettare tutto quanto proposto da lui, prigionieri della sua distorta mentalità, poi i vicini, gli amici borghesi. La violenza del regime, infatti, quando diventa arbitraria colpisce solo per il proprio interesse. Trapero svela questa dinamica con una dissezione della dittatura riproposta in tono minore nel regime oppressivo imposto dal capofamiglia ai suoi figli. In questo senso il regista è tragicamente e algidamente disvelatore.

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