Il cittadino illustre. Temi pirandelliani

Il nostro parere

Il cittadino illustre (2016) ARG di Gaston Duprat e Mariano Cohn

Daniel Mantovani, nobel per la letteratura, vive a Barcellona da decenni. Ormai senza ispirazione, accetta un invito dalla sua città natale in Argentina per ricevere un premio. Daniel ritorna dopo 40 anni a Salas, paese che aveva lasciato senza rimpianti e di cui ha parlato in quasi tutti i libri, descrivendo un mondo arcaico e arretrato. Dopo un inizio trionfale, gradualmente Daniel comincia a non essere più tollerato dall’ambiente che gli rinfaccia il passato e il successo. Tutte le angosce vissute da giovane riemergono. E Salas non è cambiata affatto nell’intimo.

Il cittadino illustre è un film disturbante. Inizia come la rincorsa al passato di uno scrittore ormai senza vena, ridotto a conferenziere, per poi sprofondare gradualmente in un incubo. Dall’approccio malinconico e nostalgico si finisce in un groviglio di vipere e nelle sabbie mobili. Salas diventa così un coacervo di male, una raccolta dei vizi dell’umanità, rappresentazione tragica del presente. Il finale ricorda incredibilmente Così è, se vi pare di Pirandello e sorprende.

La regia ha il merito di gestire solidamente il passaggio graduale dalla commedia grottesca al drammatico. Lo scivolamento è così graduale, seduttivo, che ci si ritrova prigionieri della vicenda, senza rendersene conto, così come accade allo scrittore. Oscar Martinez è splendido (Coppa Volpi come miglior attore a Venezia 2016) nel ruolo di Daniel: spocchioso e fragile, riflessivo e vanitoso, come tutti gli artisti, umano e malinconico. Martinez percorre tutti i registri interpretativi con grande efficacia.

 

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