I film Palma d’oro a Cannes – 3

Il Festival 2013 è, ormai, vicinissimo e presenta un ricco carnet di appuntamenti con vecchi maestri e nuove tendenze che emergono in giro per il mondo. La cronaca dei film vincenti dal 1975 al 1995 conferma la tradizione. Il Palmares ci restituisce l’immagine di un cinema che abbandona l’ideologia e le divisioni partorite dalla guerra fredda per privilegiare opere di rinnovamento, di grande impegno sociale, di denuncia. Si conferma, peraltro, il forte legame con la cinematografia statunitense che ha visto riconosciuto ai loro (quasi) esordi autori come Scorsese, Soderbergh, Tarantino, Lynch, Coen. Al loro fianco dei veri e propri premi alla carriera attribuiti ad autori (spesso francesi) che non hanno vinto con le loro migliori opere, ma si vedono restituire il maltolto grazie a giurie attente a riparare gli errori della storia. Ecco l’affascinante elenco.

1975: Cronaca degli anni di brace (Chronique des années de braise) di Mohammed Lakhdar-Hamina (Algeria) Primo film africano a vincere il Festival. Il premio va alla ricostruzione della lotta di liberazione del popolo algerino. Una sorta di ricompensa per le ingiustizie patite dai francesi?

1976: Taxi Driver di Martin Scorsese (USA) Mano felice del regista e grande prova degli attori con uno dei tormentoni più noti del cinema. Masterpiece.

1977: Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani (Italia) Un film di grande impatto sociale e dai contenuti rivoluzionari. Scabro, forte e sincero, riesce a raccontare un pezzo arcaico dell’Italia che ci ha lasciato nella superficie, rimanendo a ferirci in profondità.

1978: L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (Italia) Il mondo contadino della campagna bergamasca alla fine dell’ottocento è restituito con accenti lirici ed una ricostruzione filologica accuratissima. Nel film si sposano elementi storico-sociali con quelli cinematografici in modo perfetto ed equilibrato.

1979: Il tamburo di latta (Die Blechtrommel) di Volker Schlöndorff (Germania) Metafora della Germania rappresentata da un bambino che si rifiuta di crescere. Inquietante e riuscita riduzione del romanzo di Gunther Grass.

ex aequo Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (USA) Ispirato a Cuore di Tenebra di Conrad, Coppola racconta per immagini l’odissea di un gruppo di marines alla ricerca del criminale Kurtz. Parabola allucinata e lisergica, impregnata della cultura pop di quegli anni, è il viaggio nelle profonde ferite dell’America guerrafondaia di Nixon.

1980: Kagemusha – L’ombra del guerriero (Kagemusha) di Akira Kurosawa (Giappone) Magnificente film storico con cui Kurosawa ritrae l’illusione e la vanità del potere. Straordinario l’uso del colore reso al massimo grazie alle imponenti scene di massa.

ex aequo All That Jazz – Lo spettacolo continua (All That Jazz) di Bob Fosse (USA) Capolavoro assoluto del genere musicale. Fosse si specchia in un’opera che è una vera e propria riflessione autobiografica, una sorta di diario che utilizza nel flusso di coscienza, la musica e la danza.

1981: L’uomo di ferro (Czlowiek z zelaza) di Andrzej Wajda (Polonia) Premio molto “politico” per un film che racconta il deterioramento del regime comunista in Polonia con l’avanzata delle speranze legate a Solidarnosc. La speranza viene spezzata dal colpo di mano di Jaruzelski, ma il riconoscimento all’opera di Wajda voleva significare che tutto il mondo occidentale c’era.

1982: Yol di Serif Gören e Yilmaz Güney (Turchia) Cinque detenuti liberati per una settimana, tornano in una Turchia militarizzata e lacerata da odi, scontri e divisioni.

ex aequo Missing – Scomparso (Missing) di Costa-Gavras (USA) Altro film di denuncia con uno straordinario Jack Lemmon. Un padre, conservatore e patriottico, deve purtroppo constatare che gli avvenimenti anche lontani ti sconvolgono la vita. Prova tutto ciò sulla sua pelle quando il figlio scompare durante il colpo di stato di Pinochet in Cile.

1983: La ballata di Narayama (Narayama bushiko) di Shohei Imamura (Giappone) Da una leggenda popolare, una metafora dura e straziante sull’ineluttabilità della morte dopo un’inutile lotta per la sopravvivenza.

1984: Paris, Texas di Wim Wenders (Germania) Film on the road per lo sguardo disincantato di Wim Wenders in America. Ne esce un ritratto ambizioso con cadute e disomogeneità, pur con la splendida ed evocativa colonna sonora di Ry Cooder.

1985: Papà è in viaggio d’affari (Otac na sluzbenom putu) di Emir Kusturica (Jugoslavia) Commedia divertente e rapsodica (al ritmo zingaresco delle tipiche colonne sonore di Kusturica) che sa anche criticare in modo corrosivo la politica dello stato balcanico. E’ un affresco per molti aspetto anticipatore della successiva dissoluzione dello stato Jugoslavo poichè è capace di analizzare i mali della società.

1986: Mission (The Mission) di Roland Joffé (Gran Bretagna) La musica di Morricone ed i paesaggi incontaminati della foresta amazzonica restano nel cuore più della vicenda narrata, ovvero la storia del massacro degli indios da parte dei veri “selvaggi”, i colonizzatori.

1987: Sotto il sole di Satana (Sous le soleil de Satan) di Maurice Pialat (Francia) Un film duro, laico che partendo dall’anima complessa e dilaniata del libro di Bernanos, riflette sul rapporto tra uomo e religione riuscendo a trasmettere un senso di mistero assoluto che non risolve alcun dubbio.


1988: Pelle alla conquista del mondo (Pelle erobreren) di Bille August (Danimarca) Un ragazzo deve affrontare, insieme al padre vedovo, l’emigrazione dalla Danimarca alla Svezia alla fine dell’ottocento. Pelle dovrà iniziarsi alla vita attraverso un percorso di dolore e di scoperte. Palma d’oro accusata di manierismo e molto contestata.

1989: Sesso, bugie e videotape (Sex, Lies, and Videotape) di Steven Soderbergh (USA) Soderbergh si impone all’attenzione mondiale con una commedia amara sul sesso e sulle finzioni sociali e comportamentali. Stile asciutto (da videoamatore, diceva qualcuno) per essere più vicino ai tempi con una fotografia crepuscolare.

1990: Cuore selvaggio (Wild At Heart) di David Lynch (USA) Premio acclamatissimo (molto meno da parte di chi scrive) per il film di Lynch intento, come suo solito, a destrutturare la sintassi cinematografica con intenti eversivi. In realtà, diventa banale nella sua, voluta, incomprensibilità.

1991: Barton Fink – È successo a Hollywood (Barton Fink) di Joel e Ethan Coen (USA) Geniale commedia sulla Hollywood dei grandi studios. Turturro è strepitoso nel ruolo dello scrittore, ignaro spettatore ed inconsapevole vittima dei meccanismi dello spettacolo. Alla fine, le diverse e sovrapposte chiavi di lettura fanno dei Coen degli autentici innovatori.

1992: Con le migliori intenzioni (Den goda viljan) di Bille August (Danimarca) Dieci anni della vita dei genitori di Ingmar Bergman, sceneggiatore e ispiratore del film, raccontati con stile austero, prammatico. Pernilla August vince il premio anche come miglior attrice, ma è imposta dallo stesso Bergman. August, oborto collo, ha dovuto accettare l’imposizione ma ha cambiato idea, al punto di sposare l’attrice.

1993: Addio mia concubina (Ba wang bie ji) di Kaige Chen (Cina) Un affresco storico che vuole svelarci quale violenza profonda si celi dietro il formalismo dei costumi sociali, capaci di reprimere pulsioni profonde, ma anche di segnare negativamente la vita delle persone.

ex aequo Lezioni di piano (The Piano) di Jane Campion (Nuova Zelanda) Film giocato sui contrasti ( uomo-donna; natura-civiltà, maori-bianchi, musica-silenzio), si avvale di un cast spettacolare, di una colonna sonora quanto mai determinante e di una qualità visiva che turba e sorprende.

1994: Pulp Fiction di Quentin Tarantino (USA) Il cinema di Tarantino sconvolge la Croisette lavorando sui generi, riscoprendone altri e trascinando il pubblico nella sua iperviolenta realtà: da pulp appunto. Una ventata di freschezza con la resurrezione di attori come Travolta ed il lancio di altri. Su tutto una sceneggiatura brillante con struttura circolare.

1995: Underground di Emir Kusturica (Bosnia ed Erzegovina) Come al solito, l’unico regista in grado di narrare il disfacimento della Jugoslavia post-Tito poteva essere un regista visionario attraverso una metafora sanguigna, corale ed intensa. Kusturica è barocco, ma riesce come nessuno ad affrontare una materia così delicata e magmatica. Regista barocco, ma grandissimo.

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1 Response

  1. davide scrive:

    Behh io ho appena lasciato un commento sul mio Blog con link a questo post… anche per ringranziare pubblicamente i visitatori del blog… grazie ragazzi!

     

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