I capolavori di Carl Theodor Dreyer

50 anni fa moriva il regista danese Carl Theodor Dreyer (1889-1968), ineguagliato maestro di stile, autore rigoroso ed impeccabile, studioso dell’animo umano e dei dilemmi etici come nessun altro. La sua filmografia, limitata ma fondamentale per la storia del cinema, ha ispirato autori di tutto il mondo, in particolare Ingmar Bergman, suo vero erede nell’esplorazione della psiche. Chi studia cinema non può non conoscerlo.

Vampyr (1932)

David si ferma per una notte in una locanda e conosce uno strano vecchio che gli lascia un incartamento che gli chiede di leggere dopo la propria morte. Ripreso il viaggio giunge al maniero dell’anziano personaggio ed è testimone della sua morte. Letto il manoscritto scopre l’esistenza di una vampira, certa Marguerite Chopin. Dopo alterne vicende David riesce a sconfiggere il male, colpendo al cuore la vampira con un paletto. Capolavoro pieno di inquadrature mirabili come la soggettiva di David che viene condotto, nella bara, verso la sepoltura. Dreyer miscela realtà e onirismo in uno spettacolo di grande effetto. Tratto dal libro Camilla di Sheridan Le Fanu e fotografato da Rudolph Matè.

Gertrud (1964)

Gertrud, donna ancora seducente seppure non più giovane, non è riuscita a trovare l’amore nel matrimonio con Gustav Kanning, un uomo politico freddo e ambizioso che le antepone il lavoro e la carriera. Decisa a divorziare, Gertrud si innamora di un giovane musicista, Erland Jansson, nel quale è convinta di aver trovato l’anima gemella. Ma il giovane non corrisponde con altrettanta sincerità all’amore della donna. Sembra la trama di un mélo d’accatto e invece si tratta di un film straordinario, l’ultimo firmato dal maestro danese. All’epoca non fu capito e venne considerato statico e verboso, ma la sua essenzialità e la sua forza introspettiva sono puro cinema.

La passione di Giovanna D’Arco (1928)

In una sola giornata, il 30 maggio 1431, a Rouen, la contadina analfabeta viene portata davanti al giudice Cauchon, ma le sue risposte non sono sufficienti a condannarla. L’inquisitore e i giudici tentano, invano, di strapparle una confessione. Nella camera della tortura, Giovanna non scende a compromessi e sviene. Portata nel cimitero, la contadina, circondata dall’affetto popolare, cambia idea e decide di firmare l’abiura, atto che potrebbe salvarle la vita. Però quando le viene rasato il capo in segno d’infamia, si pente nuovamente e ritratta. Per lei è previsto il rogo. Il popolo insorge invano. Il film innovò profondamente il linguaggio cinematografico, in particolare grazie all’uso dei primi piani e all’impiego dei particolari. Benché “vecchio” di oltre otto decenni, conserva intatta una straordinaria modernità. Anche se avesse girato solo questo film, Dreyer avrebbe meritato un posto altissimo nella storia del cinema.

Ordet (1955)

In una fattoria dello Jutland vive il vecchio Borgen con i suoi tre figli: Mikkel, sposato con Inger, in attesa del secondo figlio, Johannes, diventato pazzo a causa degli studi di teologia, e Anders, il minore, innamorato della figlia del sarto del villaggio. Sulla fattoria si abbatte la tragedia: Inger muore di parto, Johannes sparisce e il sarto nega il consenso alle nozze per divergenze religiose con Borgen. Pur rispettandone la lettera, Dreyer trasforma il dramma del pastore protestante Kaj Munk, teso all’esaltazione della parola divina, in un poema laico di affermazione della “vita” in tutte le sue accezioni, incluso il mistero più profondo. Il finale è una vetta sublime della rappresentazione del sacro nel cinema. Leone d’oro a Venezia.

Dies Irae (1943)

Siamo nel 1623, in nord Europa. Marthe, accusata di stregoneria e braccata dalla folla, si rifugia nella canonica del villaggio presso Anna, giovane moglie del pastore, sposata in seconde nozze. Marthe viene comunque catturata, torturata e arsa viva dopo il processo presieduto da Absalon, marito di Anna. In canonica arriva ora Martin, figlio di primo letto di Absalon, coetaneo di Anna. Tra i due giovani nasce l’amore. Quando Absalon, all’improvviso, muore, sua madre Merethe accusa Anna di stregoneria. Capolavoro di Dreyer, basato sulla critica al pregiudizio e la libertà (soprattutto del pensiero) in contrasto con le regole sociali. Ma il film è un raffinato prodigio di ambiguità, che evita ogni schematismo, e uno straordinario exploit figurativo, in cui i bianchi e i neri e le scenografie incastrano i personaggi

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