Grazie a Dio – Fede tradita

Il nostro parere

Grazie a Dio (2019) FRA di Francois Ozon

Alexandre vive a Lione con moglie e figli. Un giorno scopre per caso che il prete che lo ha abusato quando era un bambino sta ancora lavorando con i giovani, ed in lui si svegliano ricordi a lungo repressi.

Un lapsus rivelatore scopre improvvisamente una grande menzogna, delle parole sfuggite per confermare che “grazie a Dio” la chiesa è salva da una denuncia, come se le vittime fossero già state indennizzate dalle semplici preghiere. Il film di Ozon svela invece le connivenze, l’omertà con cui la chiesa ha coperto la pedofilia dei propri sacerdoti.

Il regista ci propone una cronaca quasi documentaristica degli eventi, utilizzando lo strumento della voce fuori campo per contrassegnare i diversi passaggi, ricordando l’utilizzo che ne faceva anche Truffaut in diverse sue opere. Lo scarto stilistico rispetto ad altre opere dell’autore francese sorprenderebbe se non ci fossero elementi perturbanti anche in questo caso.

La parola ha infatti un ruolo essenziale nello svolgimento, partendo dal nome stesso dell’associazione delle vittime dei pedofili ovvero “La parola liberata”. Questa parola è non solo il verbo religioso che è negato invece dalle gerarchie ecclesiastiche ma anche la liberazione dal silenzio calato sulle anime di questi bambini, diventati dolorosamente adulti in un processo di autodistruzione che, frequentemente, li ha visti soccombere.

Dal protagonista compassato di Poupaud si passa improvvisamente al focoso Menochet che innesca il processo mediatico che svela lo scandalo al di fuori delle segrete stanze. La conclusione amara è mitigata in parte dalla realtà successiva che vedrà condannato al carcere il sacerdote-orco mentre sarà assolto il vescovo nel corso del 2020, ovvero dopo l’uscita del film.

Il regista lavora sulla sottrazione. Il male è mostrato nella sua banalità, il dolore nella sua evidenza ma senza pietismi, senza alcuna sottolineatura melodrammatica.

 

 

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