Gli anni più belli – Cavalcata

Il nostro parere

Gli anni più belli (2010) ITA di Gabriele Muccino

La storia di quattro amici raccontata nell’arco di quarant’anni, dal 1980 ad oggi, passando per la loro adolescenza fino all’età adulta. Le loro vicende offrono un affresco dell’Italia e dei cambiamenti che ha subito nel corso del tempo.

Il riferimento, il moloch è C’eravamo tanto amati, preso come riferimento a tal punto da ricalcare la struttura narrativa, mescolando qua e là i personaggi, mescolando tra loro i caratteri, le esperienze. Intelligente è la decisione di affidarsi ad attori tra i migliori del panorama italiano, esattamente come aveva fatto Scola tanti anni prima.

Gli aspetti positivi si fermano qua. Il resto è solo una corsa folle con la macchina da presa tra i 40 anni in cui si dipana la trama. Il passare del tempo è visto con le rughe che si sommano sul volto, affidato a spezzoni di telegiornale che raccontano gli eventi più significativi che sono avvenuti. Ma è tutto qua.

Giulio, Gemma, Paolo e Riccardo sembrano vivere in superficie, gli avvenimenti non li cambiano mai. La loro dimensione è solo in relazione agli eventi mostrati dalla macchina da presa. Potevano essere spostati in qualunque posto, in qualunque nazione e, mi permetto, in qualunque periodo senza cambiare nulla.

C’eravamo tanto amati erano il ritratto di una generazione, delle illusioni politiche, di valori, di passioni vere e profonde per cui valeva la pena vivere ed invecchiare. I nostri, invece, sono senza dimensione, falsi nella loro sostanza, o veri nella misura in cui Muccino si immagina quelle persone. L’autore non sa niente delle borgate, nulla dei professori, poco degli operai, qualcosa in più conosce della bella società ma il resto non lo conosce e lo immagina in modo stereotipato e superficiale.

Il professore di liceo è ridicolo nel modo di vivere  il suo lavoro (piange quando riceve la nomina in ruolo……. sic sic), ridicolo nell’attaccarsi virginalmente ad una sola donna quando il lui è Kim Rossi Stuart, uno a cui le donne si attaccano se solo lo vuole. Ridicolo poi nel seguire la trama del suo riferimento con dialoghi spesso imbarazzanti. Che differenza tra il rozzo palazzinaro di Fabrizi e l’arido politico di Acquaroli. Il secondo fa quel che può ma è tutto il contorno che è di scarsissimo livello.

A Muccino non manca la perizia tecnica e ogni tanto azzecca una scena, sopratutto nel finale quando recupera un tono temperato (anche se l’happy end sa tanto di paraculata) e mostra come il tempo allontani e spenga l’ardore ma anche l’ansia di dover diventare grandi.

Attori così così. Persino Favino è forma più che sostanza. L’esordio di Emma Marrone è da dimenticare.

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