Gangster in agguato. Troppe parole per un noir

Il nostro parere

Gangster in agguato (1954) USA di Lewis Allen

Nella paciosa cittadina di Suddenly giunge la notizia che il presidente degli Stati Uniti si fermerà per pescare. Mentre fervono i preparativi e i controlli della sicurezza, tre gangster prendono in ostaggio una famiglia che possiede una casa con la posizione ideale per colpire. Lo sceriffo, preso anch’esso prigioniero mentre perlustrava i dintorni della stazione, riuscirà a sventare l’attentato.

Il film presenta un cast ragguardevole. Poco efficace lo “sceriffo” Sterling Hayden, soprattutto al confronto di un Frank Sinatra capace di dare un cotè psicopatico al suo John Baron, molto interessante.

I dialoghi, eccessivamente lunghi, rallentano molto la suspence, giocando un ruolo negativo. Proprio la sceneggiatura è il punto debole, nonostante la profetica idea dell’attentato che anticipa quanto accadrà pochi anni dopo con Kennedy a Dallas. Lo script, infatti, utilizza tutti gli stereotipi più scadenti per tratteggiare la classica famiglia americana. La donna, vedova di guerra, è indifesa al punto giusto, non ha alcuna indipendenza e non aspetta altro che le braccia sapienti dell’uomo “forte” ovvero Hayden che da vita ad uno sceriffo con i peggiori istinti patriarcali possibili. Il bambino, poi, è assolutamente irritante. Viene quasi il desiderio che Baron la faccia finita con lui dopo due scene.

La regia è, però, tesa ed interessante. Lewis Allen, britannico, mostra buon mestiere e guida con mano sicura i momenti di azione del film. Poco può quando, invece, il copione gli prende la mano con gli incomprensibili pistolotti di Baron. Dovevano servire per tratteggiare meglio i caratteri in gioco, ma fanno solo rimpiangere i silenzi dei taciturni. A volte, è meglio un bel mistero piuttosto che tutte quelle frasi inutili.

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