Captive state – Le prede siamo noi

Il nostro parere

Captive state (2019) USA di Rupert Wyatt

La terra è occupata dagli alieni. Rafe e Gabriel sopravvivono al massacro della loro famiglia. Nove anni dopo, nel 2025, Rafe si è unito alla resistenza, mentre Gabriel lavora a chip di cellulari da cui vengono estratti dati per gli archivi degli occupanti alieni. Insieme a un amico prepara una barca per la fuga dalla città, ma i suoi piani sono stravolti dal ritorno di Rafe e dalle azioni terroristiche della resistenza. Sulla quale indaga anche il detective Mulligan che vuole proteggere il quartiere di Pilsen dalla rappresaglia aliena.

Siamo nel mondo della fantascienza post apocalittica, nel genere distopico ma ci sembra di cogliere molti echi del presente e una strana accettazione di un mondo orwelliano dove a dominare c’è una razza aliena decisa a sfruttare l’uomo e il pianeta per i propri scopi. Tuttavia, non è difficile riconoscere la metafora del totalitarismo nella prassi di questi invasori e del sovranismo trumpiano nelle motivazioni dei governanti sottomessi e collusi. Non è difficile ammettere che molte di queste cose le accettiamo silenziosamente già ora, vuoi per conformismo, vuoi per vigliaccheria.

Wyatt mette in scena una società capitalista (un’altra metafora) dove le differenze sociali sono sempre più marcate, dove una razza padrona prende tutto. Apparentemente sembra che nulla sia cambiato ma non esiste più alcuna privacy, il controllo è totale e non vi è possibilità di resilienza, figuriamoci di resistenza ormai delegata a pochi sparuti uomini che sanno di immolarsi per il pianeta. Apparentemente la razza umana è la stessa; in realtà ha rinunciato ad ogni forma di pietà e tolleranza.

Una regia efficace che privilegia l’azione ai dialoghi, affidandosi ai volti degli attori e alla loro forte espressività, alle pieghe e alle espressioni del volto poichè ogni parola è vietata e potrebbe essere captata dal nemico. Film colmo di suggestioni, girato con estrema professionalità, pur senza star (o forse fortunatamente senza), si affida ad una serie di comprimari dove primeggia uno splendido John Goodman. Di spessore.

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