A star is born – Il numero 3

Il nostro parere

A star is born (2018) USA di Bradley Cooper

Jackson Maine è un famoso cantante che combatte privatamente una dipendenza da alcol e droghe. Dopo uno spettacolo, visita un bar dove assiste a un’esibizione di Ally, una cameriera e cantautrice. L’attrazione reciproca è immediata e Jack la invita al suo successivo spettacolo dove cantano insieme il brano Shallow. Nasce l’amore e anche la carriera di Ally ma il demone della dipendenza non lascia Jackson.

Terza versione di A star is born con Lady Gaga che interpreta il ruolo già di Judy Garland e Barbra Streisand, paragoni che fanno tremare i polsi. La cantante americana non sfigura in questo confronto perchè sfodera un’interpretazione più che credibile anche se il vero mattatore è Cooper, esordiente alla regia con naturalezza e stile, oltre che attore e cantante versatile. Il suo Jackson Maine è assolutamente la cosa migliore con quella fragilità mai esibita ed il dolore sempre trattenuto al proprio interno.

La prima parte dell’opera è davvero sorprendente per la capacità del regista di mostrare il dietro le quinte di un concerto e per il disegno dei caratteri dei protagonisti. L’incontro casuale poteva finire in un bagno di forzature; invece, l’amore sembra sgorgare con naturalezza. Nella seconda parte, purtroppo, questa magia svanisce. Nel momento in cui entra in campo la pop star, il film diventa scontato e, in alcuni casi, anche superficiale.

Lo star system della musica viene più suggerito che visto. La figura dell’agente è l’unica negativa in mezzo a tanti cuori teneri che nemmeno in una favola sono così assemblati. Si resta sempre nel campo della dignitosa figura, ma la sceneggiatura precipita verso un finale per certi versi inevitabile. Anche lì si glissa sul fulgido esempio del film capostipite del 1954 che insinuava la trasmissione di vizi e stravizi dal marito alla vedova piangente. Qua siamo rimasti solo al piangente, troppo per non indulgere nel pietismo.

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