A private war – Una benda nel cuore

Il nostro parere

A private war (2018) USA di Matthew Heinemann

La celebre inviata di guerra Marie Colvin è una donna a proprio agio sia sul campo di battaglia che nell’alta società. Spinta dal desiderio testimoniare e dare voce ai senza voce, la giornalista mette alla prova i limiti tra coraggio e spavalderia.

Marie Colvin è stata una donna coraggiosa e contraddittoria con una missione nella vita: far conoscere al mondo lo squallore e la crudeltà della guerra. La sua opera viene ricordata da questo film asciutto e duro che sa raccontare la persona con i suoi tanti difetti, ma ha la forza di innestarli su una narrazione antieroica. La guerra non viene mostrata nel suo spaventoso (ma per certi versi affascinante al cinema) momento dello scontro in cui le persone si fronteggiano per la vita, ma nelle retroguardie, nelle sue vittime collaterali che sembrano non interessare a nessuno.

In un’epoca come la nostra dove gli smargiassi populisti giocano con ipocrisia sulla pelle dei migranti dai luoghi di guerra, Heinemann mostra con chirurgica esattezza la mostruosità delle condizioni di vita di queste persone, la terribile realtà in cui vivono ogni giorno, ogni minuto. La guerra nelle retrovie, tra i bambini morti, feriti o traumatizzati perde ogni forma eroica, epica per diventare un miserabile, squallido massacro. Le persone muoiono nei detriti, fatte a pezzi dalle esplosioni nell’indifferenza del mondo “civilizzato” che può permettersi il lusso di leggerlo distrattamente sul giornale.

La Colvin cercava, ma a quale prezzo personale, di rendere viva la materia che aveva vissuto, di far palpitare la sofferenza tra le righe dei suoi reportage. Il merito di Heinemann è di averla raccontata, grazie anche ad una superba Rosamund Pike, senza pietismi o abbellimenti, ma nella sua carnale essenza.

A private war è un film di impegno civile, girato senza enfasi, essenziale a centrare la coscienza dello spettatore. E di questi tempi, riuscire a farlo è cosa non da poco.

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