120 battiti al minuto. identità

Il nostro parere

120 battiti al minuto (2017) FRA di Robin Campillo

Anni Novanta, Nathan decide di unirsi agli attivisti di Act Up, associazione pronta a tutto pur di rompere il silenzio generale sull’epidemia di AIDS che sta mietendo innumerevoli vittime. Anche grazie a spettacolari azioni di protesta, Act Up guadagna sempre più visibilità, mentre Nathan inizia una relazione con Sean, uno dei militanti più radicali del movimento.

Film particolarmente intenso e forte, girato senza censure e con taglio realistico vigoroso e incisivo, 120 battiti è un manifesto identitario che ha vinto il premio speciale della giuria a Cannes 2017. Campillo ripropone il modello cinematografico del suo maestro, Laurent Cantet, con cui ha lavorato in diverse opere come montatore e come sceneggiatore, a riprova della sua versatilità.

120 battiti è un film molto carnale in cui si percepisce il dolore aperto, il sudore, il sangue dei protagonisti, sangue infetto visto che si racconta della corsa disperata verso la morte, della lotta contro un destino ineluttabile di solitudine e privazione. I protagonisti cercano di forza di non farsi confinare nella malattia, nella paura dell’Aids, aprendosi al mondo, chiedendo atti di coraggio per salvare quante persone possibili. La loro lotta è rappresentata nella sua asprezza, senza infingimenti. In questo senso il film è molto coraggioso e resta nella memoria. E’ meno riuscita nel ritmo della narrazione, nel suo sviluppo cinematografico. E qua entra in campo la solita dicotomia: da una parte chi ama il cinema realista, chi privilegia l’aspetto fantastico, onirico. L’equilibrio è la soluzione migliore in molti casi. Difficile dire se una vicenda del genere può essere raccontata in modo diverso. C’è bisogno di tutto e questo angolo di cinema è quello in cui agisce Campillo.

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